Ci siamo presi qualche giorno per riposare un pò, ma ovviamente non siamo stati fermi e ci siamo concessi un viaggio “on the road” nella parte più a Est dell’Italia, in quella striscia di terra fra mare e cielo che davvero merita di essere scoperta, passando attraverso chilometri di boschi che si affacciano, da una parte, su un mare che sembra di ghiaccio nelle giornate più terse e dall’altra su una terra che sembra così simile eppure è così profondamente diversa.
Ma come ve lo racconto il Friuli? Vi parlo solo del vino? O del cibo? Di tutti i fatti storici che hanno visto Trieste, il Friuli come protagonisti? O della sconfinata bellezza di questa regione?
Credo che per onestà intellettuale dovrei parlarvi di tutto questo, ma a Pasqua forse saremmo ancora qui!
Quindi vi parlerò di alcune certezze:
ho avuto la certezza che il Friuli sia molto di più di tutto questo.
Un crocevia di tradizioni, culture, influenze, che arrivano dal passato e si proiettano dritte nel futuro. Una regione fiera e combattente, che preserva la storia e le tradizioni, ma che non si lascia schiacciare da queste.
Ma se vi state chiedendo ”Ok Camilla, tutto molto bello, ma hai assaggiato anche del vino?”
E che domande!! Il punto non è se ne ho assaggiato, ma quanto ne ho bevuto! Perché – ve lo dico sempre – i veri “esperti” non sono quelli che assaggiano, ma coloro che si lasciano attraversare dal vino, che il vino lo vivono e sopratutto lo bevono! Come diceva sempre il mio Professore, il vino è un incontro e dobbiamo farne esperienza… ecco, in questo caso mi ritengo un’esperta!
Ho avuto un’altra certezza: che il vino in Friuli non si limiti alla tradizione.
Mi spiego meglio: la tradizione del vino, e del vino fatto bene intendo, con il cuore e con la testa, è così radicata che si tende quasi a darla per scontata. Ma la tradizione non è un fossile, non è un dinosauro muto ed immobile, anzi, è la base per poter guardare al futuro e andare avanti.
Ho anche avuto la certezza che il vino è una cosa seria in Friuli: seria perchè qui ci sono stati personaggi che del vino hanno fatto la storia; penso a Gravner, a Princic, a Kante, persone che hanno fatto vedere una possibile strada per poi decidere, singolarmente, di seguire la propria.
Ho incontrato tanti produttori, più grandi, più noti, o più giovani e sconosciuti, ognuno con un’identità forte e un obiettivo preciso. Ma tutti loro mi hanno sempre parlato di un’unica cosa: la terra, il luogo in cui crescono le loro viti, e la loro mano che interviene in cantina per accompagnare la trasformazione da uva in vino. La terra, non il “terroir”, l’uva, non il vitigno. Differenza sottile, ma fondamentale. Concretezza, ama sopratutto consapevolezza di chi sono e dove sono.
La mattina passata con Dario (Princic) è stata un mix di risate e commozione. I vini assaggiati direttamente dalle botti, anche quelli che si tiene solo per sé; rendersi conto che questo signore ha la consapevolezza sfacciata di sapere quello che fa, ma con quel pizzico di ironia che te lo rende simpatico dal primo momento! E poi quella incredibile somiglianza con Samuel Beckett… sono uscita di cantina con la sensazione di aver passato 3 ore con un mito!
Ho conosciuto anche giovani produttori, che vengono da storie diverse, figli d’arte e figli di se stessi. Sono sicura che nei prossimi anni ci daranno grandi soddisfazioni.
Penso a Peter Radovic, un ettaro di vigna sul Carso triestino. Solo 4 vendemmie alle spalle, ma vi garantisco che questo ragazzo va tenuto d’occhio! Sperimenta, prova, fa e disfa, sta cercando la sua strada, ma già adesso i suoi vini lo rappresentano totalmente, lo fissano in questo momento della sua vita, della sua crescita, sono una fotografia del produttore e del luogo. Cosa che personalmente trovo più interessante di tante altre storie.
E poi c’è Tamara Podversic. Lei il vino lo ha sempre visto fare dalla famiglia e dal padre: figlia di Damijan Podversic, mitico vignaiolo del Collio. Non ho avuto il piacere di conoscerlo, ma ho intuito che non teme il passaggio di testimone dalle sue mani a quelle della figlia. E questo me lo rende ancora più simpatico!
Fin dalla telefonata in cui concordavamo l’orario di visita ho capito subito di che pasta era fatta Tamara. Indicazioni precise, non perdiamo tempo, “segui la bicicletta gialla, non ti puoi sbagliare” e la domanda finale “hai capito?”. Si, Tamara, ho capito e non vedo l’ora di incontrarti.
Dopo un periodo in Francia Tamara torna a casa con le idee così chiare da lasciarmi senza parole. Ragazza giovanissima, classe 1994, ma la determinazione di chi sa esattamente dove sta andando e cosa vuole.
Non ha studiato enologia, ma non esita nel dirmi cosa fare in vigna e in cantina per preservare l’autenticità dei suoi vini, della terra e delle persone che la lavorano. Mi spiega che ha imparato tutto dal padre, ma che la sua curiosità sfrenata le impedisce di fermarsi, e continua studiare, a conoscere e a delineare i contorni della “sua” azienda. Mi sorprende – positivamente- dicendomi che non ha alcuna intenzione di fare una sua linea all’interno della realtà famigliare: sarebbe come dire che lei non ne è parte integrante, ma solo un anello che viaggia da solo ma usando il nome del padre. Per il suo futuro ha già scritto quelle che saranno le linee guida: lei sarà a capo dell’azienda di famiglia. Punto. In enoteca trovate alcune chicche, se avete voglia di assaggiarle. Ma per alcune bottiglie dovrete aspettare ancora qualche mese. Sì perchè le poche che siamo riusciti a riportare a casa ce le siamo bevute!!